Un profilo di
Bruno de Finetti
a cura di Francesco Magris
A sinistra, Bruno de Finetti negli anni Cinquanta.
Dal 1939 al 1954 il grandissimo matematico Bruno de Finetti (1906-1985) ha ricoperto presso la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Trieste la cattedra di Matematica Finanziaria. Nonostante i suoi contributi fondamentali alla teoria delle probabilità, a quella delle decisioni e all’economia delle assicurazioni, suggeriscano che egli vada piuttosto iscritto quale esponente di rilevanza mondiale della scuola dei matematici della Facoltà di Economia, il suo rivoluzionario approccio alla teoria dell’incertezza ha tuttavia contaminato, quasi per osmosi, pure fondamentali aspetti positivi dell’Economia Politica e dei suoi risvolti normativi oggetto di studio della Politica Economica e dell’Economia Pubblica.
Nato a Innsbruck nel 1906, si laurea nel 1927 in Matematica Applicata all’Università di Milano. Lavora a Trieste come attuario e statistico presso le Assicurazioni Generali dal 1931 al 1946; in questo periodo ottiene una crescente notorietà grazie alle sue pubblicazioni, che gli consentono di intraprendere la carriera universitaria, prima a Padova, fino al 1939, successivamente a Trieste, dal 1939 al 1954, e infine all’Università di Roma “La Sapienza”, fino alla pensione, nel 1976. I suoi meriti scientifici furono subito unanimemente riconosciuti, fino a diventare Accademico dei Lincei, Presidente dell’AMASES (Associazione per la Matematica Applicata alle Scienze Economiche e Sociali) e di Mathesis (Società italiana di scienze matematiche e fisiche). Muore a Roma nel 1985.
Bruno de Finetti è stato uno scienziato animato da una carica quasi visionaria con cui si dedicava alla sua attività ricerca, che egli non ha rinunciato ad affiancare ad una costante passione politica e civile, come testimonia anche la sua esperienza di militanza nel Partito Radicale negli anni Settanta. Le ricadute sulla teoria economica dell’analisi di de Finetti sono strettamente collegate alla sua rivoluzionaria nozione di probabilità “soggettiva” che egli oppone a quella tradizionale “oggettiva”. Se, nell’ambito di quest’ultima, l’incertezza è inerente al mondo, ossia esterna all’individuo, la probabilità soggettiva, invece, “va vista come il grado di fiducia di un dato soggetto, in un dato istante e con un dato insieme di informazioni, riguardo al verificarsi di un dato evento”. Questa prospettiva rappresenta una rivoluzione epocale sul piano epistemologico, in quanto trasferisce l’oggetto d’indagine della scienza da una dogmatica, quasi teologica, e vana ricerca di separazione del “vero” dal “falso”, ad un’analisi rigorosa della genesi delle credenze, delle anticipazioni e, di rimbalzo, pure dei valori individuali. Poiché tali procedure cognitive si limitano a esprimere giudizi in termini di “probabile ed improbabile”, escludendo di fatto le categorie estreme del certo e dell’impossibile, ogni progetto di trasformazione del mondo si affranca dalla abituale accusa d’Utopia; il riformismo sul piano politico e sociale diventa un’opzione libera da vincoli fattuali e si pone dunque quale concreta e pragmatica “alternativa”, anche di governo.
Gli strumenti analitici utilizzati da de Finetti coinvolgono pure l’”economia del benessere”, nell’ambito della quale egli è proteso a smascherare le ambiguità normative che si celano dietro la nozione di “ottimo sociale” (verso il quale convergerebbe il mercato), la cui pretesa neutralità concettuale cela invece una fede aprioristica sulle virtù del mercato e sulle sue capacità di autoregolarsi e di promuovere il benessere collettivo, argomenti abitualmente utilizzati dagli economisti, secondo de Finetti, per opporsi a ogni intervento da parte dello Stato e promuovere un assetto ultra-liberista.
L’economia del benessere, agli occhi di de Finetti, deve invece attingere a dei criteri di giudizio che si svincolino da quelli improntati unicamente all’efficienza. L’ottimo paretiano deve essere solo una condizione necessaria per un’allocazione finale delle risorse che deve ispirarsi invece a criteri pure di equità, giustizia e uguaglianza, sulla base dei quali tracciare una gerarchia di valori la cui valenza normativa possa imporsi sugli esiti di mercato. Spetta dunque all’autorità pubblica il fondamentale compito di implementazione di obiettivi di natura redistributiva e assicurativa.
Bruno de Finetti è stato spesso fortemente critico nei confronti della scienza economica e degli economisti mainstream dell’epoca, che egli non esitava a definire dei “mestieranti” e “praticoni” protesi a celebrare acriticamente il libero mercato in maniera conforme ad un disegno di dominio ideologico volto a preservare il mantenimento dello status quo e a perpetuare gli squilibri politici ed economici a favore de ceti dominanti. La polemica di de Finetti si spinge fino al punto di denunciare l’opera di disinformazione degli economisti per inculcare nel pubblico, sprovvisto di anticorpi intellettuali, concetti e principi faziosi, mantenendolo in un prolungato e docile “sonno dogmatico”.
Molte di queste intuizioni scientifiche di de Finetti sono state elaborate sin dai tempi in cui egli insegnava all’Università di Trieste e il loro contenuto rivoluzionario ha influenzato non solo gli studiosi di Matematica Finanziaria, ma pure gli economisti teorici di tutto il mondo, per i quali il pensiero di de Finetti è oggi considerato un riferimento imprescindibile.
